
Non so quante altre volte lo farò, forse non è ortodosso sebbene implicito e connaturato in una recensione. Ma di Parole tossiche. Cronache di ordinario sessismo scriverò in prima persona. Premettendo che lo spunto è stato un post sulla pagina facebook della casa editrice Settenove, che lo pubblica, in reazione al titolo ormai famigerato apparso su QS l’inserto sportivo di QN (dove tre atlete italiane impegnate nelle Olimpiadi di Rio sono diventate “Il trio delle cicciottelle”) .
Il quotidiano meno politicamente corretto in Italia, azzardo, credo sia Libero di Vittorio Feltri, che ha affidato l’argomento a Giordano Tedoldi (“Cicciottelle non si può dire, ma panciuti sì”, 9 agosto 2016 – argomentando ciò che è chiaro nel titolo, Tedoldi fa riferimento allo scandalo mancato quattro anni or sono per gli arcieri “Robin Hood con la pancetta”, e avallando la teoria eastwoodiana sull’esistenza di una “pussy generation” prevaricatrice e facile alla boria). In una conversazione creata arbitrariamente da me, Settenove risponde spostando il focus sulla violenza di cui certe visioni (anche di chi ha levato scudi a difesa delle atlete) sono portatrici, molto spesso, nello sport. Io scelgo come spunto questo passaggio (sempre da Parole tossiche):
Lo sguardo machista va oltre il guardare le donne come fossero merci da sexy shop: suggerisce continuamente, con ogni sorta di argomentazione, dalle battute da osteria all’intellettualismo post-moderno, che tutti gli uomini dovrebbero vedere le donne attraverso un unico filtro, che alle donne questo piace da morire e che le eventuali dissidenti lo sono per invidia (in realtà non sarebbero abbastanza belle …)
Graziella Priulla nel suo saggio (ben fatto, approfondito) affronta un problema evidentemente reale e vivo: il potere delle parole. D’altronde l’esistenza dell’atto linguistico ci dimostra che “agiscono” nel mondo, compiono azioni. Quindi, nel loro uso, di trascurabile c’è ben poco; pure quando sembrano insulti sciocchini (che non possono offendere gli adulti) sottendono e si portano dietro un pezzetto “della società che li produce”:
Anche la conversazione “non curante” – così chiamata perché si riferisce alla routine di un mondo dato per scontato – non ha alcuna innocenza, perché più di quella preparata svela ciò che è dentro ciascuno di noi, il nostro livello di accettazione delle regole di una, magari scherzosa ma solidale, convivenza.
E lo stesso Tedoldi chiude così
Perché accettiamo che il controllo sul linguaggio, nella discussione pubblica, venga affidato all’isteria del «popolo della rete» in quotidiana caccia di un capro espiatorio? Il quale popolo, altro che ricorrere a un «cicciottello», quando parte all’attacco, pretende la testa del nemico.
Perciò, non fermiamoci alla reazione, che è il giusto contrario di assuefazione, scrive Priulla; non trasformiamo una riflessione di cui abbiamo tanto bisogno nel motto criminale (e lava coscienza) “colpirne uno per educarne cento”.
In perle: Volgarità, indignazione, omologazione, indifferenza, conformismo: parole tossiche nella storia e oggi. Analisi godibile per il cervello contro la pancia.
Parole tossiche. Cronache di ordinario sessismo, Graziella Priulla, Settenove – 2014