NUDI COME SIAMO STATI – Davvero

COP NUDI

Nudi come siamo stati (Ivano Porpora, Marsilio 2017) è un romanzo vortice; ti chiama a sé, ti tira dentro, ti avviluppa. Non è dolce naufragare in un fiume disseminato di mulinelli, intenso sì: testa il corpo, te lo fa sentire vivo a ogni botta, e quando puoi seguire la corrente il piacere coinvolge l’intera psiche.

Severo è un artista (“Non voglio essere un artista”), vive con Anita, al piano di sotto abita il padre (comunicano solo per lettera o tramite lei; sua madre è morta, da troppo tempo). Arsène, artista di fama mondiale, gli impartisce lezioni: Severo va nel suo appartamento e lì, o altrove, impara. Arsène un giorno scompare e anche in casa sua sembra non averci mai vissuto; la sua fuga fa notizia, mentre Severo?

…io sporco i piatti e bestemmio, bestemmio e dipingo quadri e lascio che sia Anita a curarsi dei contatti col mercato; dipingo su larghe tele baci a denti stretti, uso il carboncino con l’olio in un rapporto strano, o olio e polline, pressati con una forza e una furia che quei denti li spaccherebbero. Il bacio è mio e di Anita, e la pancia di lei è grande. Lei li vende a quattro, cinquemila euro l’uno, van via facile a due per la somma delle dimensioni, a volte tre per. Ma mi sto dimenticando di lui e noi.

Severo cerca.

Ci sono romanzi troppo, che come effetto fanno solo una grande tristezza che a volte sconfina in rabbia; poi ci sono scrittori bravi che mettono al mondo romanzi tanto (questi – e forse è un avvertimento – scombussolano per giorni). Nudi come siamo stati è tanto, rimesta ben bene in profondità perché è potente. È diviso in tre parti, ogni parte regge, per struttura e costruzione (la seconda è la pietra angolare del romanzo); c’è una storia da seguire ma non ti fa ingollare le pagine giusto per arrivare alla fine, però è fondamentale che ci sia, dà credibilità a quello che si legge, a quanto si scopre, a ciò che accade e quando.

In Nudi come siamo stati ci sono la malattia, l’assenza, l’incomunicabilità, la fuga, gli scacchi, la paternità, il dolore, il destino, la giustizia, l’amore, il sesso, l’arte, l’impotenza, il corpo e l’anima, il viaggio, il ritorno, le scelte, la fede, la ricerca, (alcune/tante) risposte. C’è la mano di un autore, perché questa storia più che raccontata sembra fatta materialmente, matericamente: Ivano Porpora incarna le parole, qui e in tutte le sue opere reinventa il correlativo oggettivo in un gioco continuo di dentro-fuori/oggettivo-soggettivo reso  bello dalla cura e dal rispetto. La lingua è ricca ma non barocca perché ogni scelta è portatrice di significato. È così che le sensazioni diventano più materia della materia; è così che si vede più lontano e ancora meglio con il caleidoscopio che con il cannocchiale.

C’è una differenza importante tra il momento in cui una persona c’è e una persona non c’è più. Quel momento per me ha sempre avuto il nome di: davvero. Il giorno prima le foglie cadono; il giorno dopo le foglie cadono davvero. Il giorno prima la gente ti guarda e sorride; il giorno dopo ti guarda e sorride davvero. Scende su di te una benedizione che si chiama consapevolezza, e quella benedizione e quella consapevolezza le riconoscevo al passato, non il volto di mia madre; e il peso di quella consapevolezza toglie una patina di falsità a tutto ciò che ti aveva circondato fino a quel momento. Come se una catena, che aveva il nome della persona che è morta, e quel nome per te lo sai solo, … avesse tenuto avvinte le cose, le persone, le parole, i cieli in aria e i laghi in un solo vincolo sacro. Quando la persona viene a mancare quella catena si infrange e le cose si sparpagliano; e ti trovi a raccattarle a terra, guardarle curioso, dover dare loro un nome.

I rapporti tra esseri umani sono lo squarcio più profondo nella tela di questo romanzo; eppure si risolverebbero (come il rapporto con sé stessi e non solo per un artista) con il coraggio di dire “Io sono qui”. La relazione tra Severo e Arsène, invece, li impasta; a volte arriva a evocare il Fight Club – con le sue regole, con la perdita o il ritrovamento di sé, ma soprattutto con il corpo che prende colpi, da dentro.

Sono grasso e non so che cazzo significhi questa pancia, che cosa siano queste spalle; ho questo volto, questi occhi che una volta sapevo di lupo mannaro e ora non mi dicono nulla. Le mie opere grondano sangue, è vero; ma con che coraggio vai da un artista dissanguato, gli batti sulle spalle e gli dici: «Bravo»? Non lo meritava un “Bravo” prima, cazzo? Non me lo meritavo? Una testa di cazzo che scrivesse di me. … Mi chiedevo in maniera sempre più insistente se non l’avessi inventato io, Arsène, o se non l’avessi evocato io; se non fosse un attore ingaggiato per rubarmi le password, i ricordi, i piccoli gioielli, tutto. Cosa rimane di noi? Questa era la domanda, porca troia. Cosa rimane di noi dopo che tutto quanto se n’è andato, dopo che la marea ci ha lasciato i detriti e portato via quello che chiamavamo amore?

Questo romanzo è davvero una #PERLA.

nudiNudi come siamo stati, Ivano Porpora
Marsilio 2017

Ivano Porpora è un autore Strade Scritte

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