UN BUON POSTO DOVE STARE – L’arcipelago Recherche è in Australia

“È più facile essere felici in un posto che ti piace.”
“È più facile essere felici in un posto che ti piace.”

Scrivere racconti significa avere consapevolezza della condizione dell’uomo su questa terra (cioè sapere di potere conoscere solo un pezzetto minuscolo di tutto quanto); leggerli è lasciarsi guidare, ma mai come un cane al guinzaglio. Lo disse – non ci sono le virgolette perché deve valere la memoria – Paolo Cognetti quattro anni fa, ospite della prima edizione di Urbino e le città del libro (Paolo tornerà a Urbino domenica 11 giugno). Lo scrittore di racconti, come un adolescente, comunica il minimo indispensabile, lavora sulle domande e sulle risposte che non dà (e non ha); guarda un mondo da fuori, mentre il romanzo offre l’architettura completa del proprio mondo. “Il racconto non è un romanzo piccolo” e scrivere romanzi o racconti è questione di vocazione o di età della vita. Bella età quella di Francesca Manfredi, meritevoli i suoi racconti de Un buon posto dove stare (La nave di Teseo, 2017; premio Opera Prima al Campiello 2017): una raccolta fatta della stessa materia dei ricordi – di quel qualcosa che non si “riuscirà mai a definire” come la malinconia da piccoli alla fine di un film o di un libro ascoltato prima di dormire – e costruita mattone su mattone (d’altronde così vengono su le grandi case).

Ho girato un paio di canali e mi sono fermata su uno di quei programmi in cui ti cambiano la vita. Mostravano la demolizione di una casa, una vecchia villetta a schiera nella periferia di qualche città industriale americana.
“Funziona sempre così, in questi programmi,” ho detto al vecchio. “Ti mandano in vacanza in qualche bel posto, al caldo, e nel frattempo ti rifanno la casa. Te la sistemano da cima a fondo, e quando torni sei una persona nuova.”

Manfredi descrive dove vivono i suoi personaggi, ma come nell’interpretazione dei sogni, al lettore – stagliati sulle pareti di ogni stanza, nelle rimesse rese terrorizzanti da una fatalità (forse), nel giardino della casa nuova, tra gli scatoloni del trasloco, nella soffitta davanti allo specchio, nel bagno di sconosciuti o in cantina in fondo al buco nascondiglio perfetto per un topo – arrivano i tratti interiori dei protagonisti dei racconti, mentre sono lì, in “quel” momento che non li ha lasciati uguali a come erano. E comunque sempre soli; immersi in una luce hopperianamente artificiale, al centro del mondo ricostruito della memoria in cui tutto è chiaro e lineare (come la lingua che ha scelto l’autrice), in cui il tempo è misurato da dentro, in un fotogramma che si fa narrazione. La misura del racconto in fondo è l’aporia zenoniana della narrazione stessa: c’è sempre un inizio e una fine, ma non si è mai all’inizio “di tutto”, non si arriva mai alla Fine.

Osservò il segno che il suo dito aveva lasciato sulla mensola, nitido e profondo, come un’impronta nella neve. D’un tratto si sentì incredibilmente stanca, come se avvertisse sulle spalle la fatica di aver tentato di porre rimedio a qualcosa e di non esserci riuscita, come se, nonostante i suoi sforzi, tutto fosse tornato come prima. Le sembrava che quello scaffale, quella stanza contenessero tutta la polvere del mondo e che, per quanto avesse tentato di soffiarla via, in un attimo la polvere sarebbe tornata.
Poi uscì da lì. Spense la luce e chiuse la porta. … La sveglia sul comodino segnava le quattro e trentotto. C’è ancora tempo per dormire, pensò Claudia. Ancora tanto tempo, pensò.

Magistrale l’ordine che è stato dato ai racconti; aspetto sostanziale in una raccolta quanto la struttura narrativa in un romanzo. “Cloro”, che apre, e “Quel che rimane”, che chiude, sono perfettamente dove dovevano stare, colpiscono al punto giusto nel momento giusto: nel primo, terrore freddo, sangue raggelato che inizia a crepitare e poi ferma il respiro in un urlo muto che grida consapevolezza bloccano il lettore; nell’ultimo, un rito d’abbandono, l’addio sospeso ritrovato in uno sguardo lo lasciano andare… in pace.

manfredi-un-buon-postoFrancesca Manfredi, Un buon posto dove stare, La Nave di Teseo (2017)