La piena umanità, ovvero PERCHÉ NON SONO FEMMINISTA

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Jessa Crispin, Perché non sono femminista. Un manifesto femminista (SUR). Milena Scaramucci per #SenzaVoce #MAMAnonMAMA18

Con il percorso #SenzaVoce (che non si ferma, come non finisce M’ama non M’ama) abbiamo ascoltato donne che parlano e abbiamo tremato  per noi di fronte a donne condannate a non avere più voce – per impedire loro, alla fine, di pensare; abbiamo anche riflettuto sull’ultimo secolo, osservando l’immagine che decennio dopo decennio l’Italia ha scelto di darsi attraverso il volto delle sirene. Ora, con Jessa Crispin e il suo potente Perché non sono femminista facciamo i conti con la determinazione rivoluzionaria di donne che non ce l’hanno con gli uomini. Il loro vero nemico è il sistema:

Sarebbe facile dire: be’, abbiamo liquidato un po’ di grossi mostri maschi e li abbiamo sostituiti con delle donne, perciò non dovremmo preoccuparci mai più di certe cose … Dobbiamo cominciare una buona volta a renderci conto che il problema non sono gli uomini, bensì le disuguaglianze e lo squilibrio di potere che rendono vulnerabili i sottoposti e le fasce più deboli della popolazione, che vivono in condizioni di precarietà economica e risentono dello sgretolamento dello stato sociale.

Perché le cose cambino davvero non è sufficiente sostituire 1:1 gli uomini con le donne – non migliori per genere, e anche questa affermazione è rivoluzionaria: se le regole e i valori restano gli stessi che hanno causato gli squilibri alla base delle violenze e dei soprusi subiti non può esserci vero cambiamento. Tutto si trasforma restando uguale, se basta dirsi femministe per mettersi l’animo in pace e se il femminismo è quel fenomeno universale che ingloba ogni cosa in una semplificazione superficiale quanto dannosa. Nulla progredisce, se la sua espressione massima è un individualismo in cui conta arrivare ai vertici del sistema per mettere in salvo solo se stessi, anzi se stesse. Individualismo e semplificazione sono i mali del nostro presente alla deriva, in cui ci accontentiamo dell’apparenza e zittiamo chi e ciò che risveglia la nostra coscienza.

Una volta che il femminismo, da sistema con cui si può indagare la società, i nostri rapporti e le nostre esistenze viene trasformato in un metodo di auto-affermazione e auto-miglioramento, può diventare universale e giustificare ogni azione.

Questo femminismo (in cui basta definirsi femministe per esserlo) assume in sé gli indicatori di successo del capitalismo, la ricchezza e il potere. Accetta gli strumenti di controllo che esercitano su ognuno di noi, concentra l’attenzione sul mondo del lavoro e non sulle condizioni di vita. Soldi e posizioni di comando fanno apparire come scelta – e la scelta in sé, qualunque sia, viene spacciata già per femminismo se è una donna a scegliere – ciò che è adesione passiva nella pericolosa dissonanza tra ciò che sappiamo e la consapevolezza di cosa comportano le nostre azioni. “Il patriarcato non è soltanto una questione di libertà personale delle donne … Adesso che le donne crescono avendo accesso al potere, non vediamo un mondo più egualitario; è lo stesso identico mondo, solo con più donne dentro … Invece di ribellarci, continuiamo a consegnare donne al sistema”. Allora cosa cambierebbe davvero il mondo? Scegliere di stare fuori dalla dinamica potenti/impotenti perché mette in competizione gli emarginati tra loro invece che unirli nelle battaglie: sperare di entrare nel sistema, inibisce la lotta per abbatterlo; volerci entrare scalzando chi c’è – gli uomini – giustifica nei fatti la demonizzazione dei maschi:

È sempre più facile trovare il senso del proprio valore sminuendo il valore altrui. È più facile definirsi “non così” che spiegare le proprie qualità.
Ecco perché l’odio indiscriminato nei confronti degli uomini come genere è tanto inquietante. È la stessa cosa che gli uomini hanno fatto alle donne per secoli.

E se le donne, in blocco, tout-court, fossero state migliori degli uomini non avrebbero sprecato le loro energie per imbrutirsi a immagine e somiglianza dei maschi peggiori, piuttosto sarebbero state capaci di esprimersi in alternative qualitativamente eccelse. Quello che sta accadendo somiglia molto alla vendetta tipica di un passaggio di mano del potere, permessa nella sua crudeltà proprio dalla disumanizzazione. E l’indignazione – con la ricerca del capro espiatorio e la rabbia, che nascondono spesso uno schema stereotipato – troppo spesso viene usata per evitare un vero esame di coscienza, che si nutre invece di istruzione, conoscenza, ascolto e empatia.
Il problema del femminismo è non avere offerto alternative, non essersi trasformato in potenza creatrice e rivoluzionaria.

Quella che si deve, e si può, recuperare è una filosofia femminista; ci vogliono idee nuove su che cosa significa avere un’etica, è partecipare al mondo e non limitarsi a distruggere, ma costruire qualcosa di nuovo.

Per troppo tempo il femminismo si è allontanato dalla sua essenza di azione collettiva, immaginazione collettiva, per diventare uno stile di vita … Il femminismo può e dovrebbe essere … un modo per creare alternative al nostro modo di vivere.

Cosa auspica Crispin, infine? “Dobbiamo recuperare l’immaginazione. Ci siamo lasciate limitare, infettare dall’immaginazione patriarcale. Vediamo solo fin dove vedono loro”. L’augurio che più mi piace trarre da Perché non sono femminista? Ragazze, riscopriamo cosa significa “comportarci da esseri umani”.
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