Le cose difficili da fare bene in un romanzo sono molte. Tre quelle che se pensate e scritte male lo rovinano nonostante tutto: dialoghi, descrizioni e riflessioni sull’esistenza, i sentimenti, i propri fallimenti, sui massimi e minimi sistemi… Poi ce n’è una che puoi fare solo da dio (con una varietà infinita, sia inteso, d’altronde si parla di dio), se la vuoi mettere in un libro: il sesso.
Ci sono miliardi di modi di … raccontare un orgasmo o la morte o un punch doppio al mandarino, ma solo quando ci sei in mezzo, sai cosa significa. Cinque sensi tutti insieme. Le parole ne usano solo un paio.
Ottanta rose mezz’ora (di Cristiano Cavina per Marcos y Marcos – in libreria dal 23 gennaio 2019) abbraccia la vita; perfetto e imperfetto a volte, a volte all’apparenza banale poi straordinario, come le nostre giornate. È un romanzo “vero”, tra virgolette perché va spiegato: non si riferisce all’eventualità che sia ispirato a fatti accaduti né alla presenza di una forte dose di realismo, ma all’onestà e alla forza di una storia intrisa di autenticità (sebbene racconti, sveli, finzioni e nascondimento: serve poco spazio “per nasconderci dietro i grandi dolori della nostra vita”). Una storia dolce e torbida intrisa di sciocchezze che mette a nudo il nucleo dell’essere (“Una molecola densa e ardente che mi nutriva e mi dominava, fatta di desideri inappagabili e uno sconcio modo di amare”), che trasforma il racconto piano e antieffetto in una bomba di emozioni. Grazie a questa verità Cristiano Cavina ha rischiato forte, ha scavato più che in una cava, ha corso veloce più di quando i bambini scappano in bicicletta e il vento sembra portarli via, ha messo in gioco molto più di una partita di fine campionato.
Passai i polpastrelli sulle fossette, sotto il giubbotto di pelle e la felpa, appena sopra il bordo dei jeans.
Difficilmente due esseri umani restano insieme per tutta la vita. Le storie d’amore vanno in malora, a un certo punto, i caratteri iniziano a respingersi. Ma ci sono sederi che potrebbero tenerti attaccato per sempre.
Collassai come collassano i corpi celesti. Non fu un gesto voluto. Precipitai.
Lei mi fermò.
Era già più di quanto mi sarei aspettato. Avevo materiale per anni. Potevo morire felice.
Ottanta rose mezz’ora è un romanzo d’amore. In amore e nel sesso non esiste giudizio, solo un incontro. Sappiamo dall’inizio che la storia non durerà, scopriamo alla fine che il nostro protagonista non ha capito niente e continuerà così. Lui (ribattezzato con l’unico nome che non gli cade da tutte le parti: Stupido) è uno scrittore abbastanza bravo “per viverci ma non per ritirarsi nel lusso a dedicarsi agli affari propri”. Ha alle spalle una vita disastrata e nemmeno il presente è tutto ’sto granché, tanto che per resistere nel mondo e nelle relazioni campa per compartimenti a tenuta stagna con rispettive facce da indossare ad hoc e grazie a san Parlantina, che quando lo assiste lo rende il re degli affabulatori. Ha bisogno di bordi e di crinali, di un margine che protegga – soprattutto dal peso delle responsabilità, dal carico della nostra influenza nel corso delle vite altrui. Oppure di perdersi totalmente. Lei invece è Sammi:
…questa maestra di ballo, con i capelli neri raccolti in una coda, i leggings con il bordo arrotolato in vita e una maglia dal collo largo.
Aveva una spalla scoperta ed era circondata da una covata di bambine grassottelle in tutù, che si pizzicavano le calze tra un passo e l’altro per sistemarle meglio.
…
La vidi in volto quando raggiunse le bambine davanti allo specchio, e per un attimo mi parve che le passasse nello sguardo un’ombra spaventosa, come se si fosse appena affacciata su un abisso.
Sammi è i nostri tempi, la crisi, l’ingegno, la determinazione (“feroce”), la precarietà e il coraggio nonostante la solitudine. Non c’entra con la resilienza: lei sa bene che le cose si spezzano e anche gli esseri umani. Sammi poi è bella, cammina costringendo la materia a curvarsi sotto i suoi piedi; è imbranata, inconsapevole: “non le mancava niente. Niente”. Questo è quanto posano su Chantal (il vero nome di lei) gli occhi e il desiderio di lui, che appena può la prende per mano e la conduce in cima alla montagna. Sammi guarda giù e si butta, per salvare i suoi sogni sceglie, “sembrava non afferrare subito le cose, ma quando poi le usava, le maneggiava alla perfezione”. Così iniziò a farsi pagare in cambio del sesso.
Sammi andò in bagno, fece la doccia e trovò uno dei pezzetti di scotch che le avevo lasciato quella mattina. Avvolgeva il deodorante.
“ANCHE LE CREATURE BELLISSIME HANNO LE ASCELLE”.
In quel momento, tutta la giornata le franò addosso … e vennero giù tutti gli accidenti e le fregature della vita e iniziò a piangere, davanti allo specchio, nuda, con il deodorante in una mano e l’altra appoggiata al lavandino, ed era così bella, anche senza la sua coda di cavallo, con un piede dietro l’altro, terza posizione, le dita rese dure e callose dalle scarpette da punta.
Era tanto bella e tanto precaria che non mi azzardai a toccarla per non mandarla in pezzi.
“Non c’è altro modo che scopare” disse, tirando su con il naso. “Io non so da dove iniziare. Aiutami”.
Ottanta rose mezz’ora è un romanzo maschilista? Lo sottende l’idea di quel femminismo che Jessa Crispin nel suo Perché non sono femminista chiama universale – facile, a uso e consumo della società capitalista e dell’ordine costituito dove non conta cosa sceglie, una donna è libera purché scelga? Forse sì, o forse no e se ne può discutere. Di certo ci regala l’occasione di provare emozioni, e sensazioni vere come la carne; magari ci fa pure riflettere. Quest’opera di Cavina può urtare alcune sensibilità? Possibile, sì. Ma non c’è calcolo, né ricerca dell’effetto. Lo abbiamo detto, Ottanta rose mezz’ora abbraccia la vita: un romanzo che ci riesce è un romanzo riuscito.
Ottanta rose mezz'ora, di Cristiano Cavina - Marcos y Marcos, in libreria dal 23 gennaio 2019