GUARDA IL VIDEO Le cosine delle femmine – M’ama non M’ama – 28 febbraio 2021 – con Giorgia Giacani, Claudio Gaetani e Milena Scaramucci
L’incontro Le cosine delle femmine organizzato da M’ama non M’ama su mestruazioni e piacere e corpo della donna e tabù e stereotipi nasce da due suggestioni: il film Borat – Seguito di film cinema film (lungometraggio del 2020 vincitore del Golden Globe come migliore commedia, che identifichiamo con Sacha Baron Cohen, che ha come coprotagonista Maria Bakalova mentre la regia è di Jason Woliner) e l’Enciclopedia della donna della Fratelli Fabbri Editori, opera monumentale in 20 volumi che si prefiggeva di offrire notizie pratiche e di cultura generale alle brave massaie e alle mogli che dovevano fare spiccare i mariti in società o nelle cene tra amici. È apparsa nel panorama editoriale tra il 1963 1964 e si comperava in fascicoli, spesso erano il pezzo più ambito e costoso del corredo. Essa stessa corredata di un indice generale dettagliatissimo e di indici ragionati stilati con cura e acume. Sapete però qual è la voce che manca?
Valeria Parrella ci ha costruito un romanzo nel 2017 che si intitola proprio Enciclopedia della donna. Aggiornamento (Einaudi) affidando la risposta alla sua protagonista: manca il sesso, inteso sia come pratica sia come nome di cosa. E la protagonista – Amanda, architetta di 53 anni, fortunata bambina nata in una famiglia femminista (babbo incluso), convinta “che fosse dappertutto così” – che la considera una “dimenticanza non da poco a cui l’animo certosino della docente universitaria già ricercatrice, già ricercatrice confermata, si appresta a porre repentino rimedio”, ovvero decide di colmare quel vuoto. Il linguaggio è esplicito, il tema evidentemente scomodo, sennò non saremmo qui ancora a parlarne. Amanda e le sue esperienze sono iperboliche e il romanzo che le racconta ha il sapore del pamphlet, ma non si può ignorare l’effetto che fanno. Qualche mese fa Parrella ha ricordato che all’uscita del libro “si erano incazzate le femministe storiche. Dicevano che non si doveva parlare così delle donne, perché la sessualità femminile non era come la raccontavo io”. Linkiesta invece pubblicò la recensione di Davide Brullo dal titolo “Il nuovo libro della Parrella? Dura meno di una scopata”, di cui condivido uno stralcio:
Enciclopedia della donna più che eccitarci ci sfratta dal turgore, ammoscia tutte le voglie. Insomma, questo sarà pure un libro sulla fica – lo denuncia lei, Valeria, a pagina 9 – ma è scritto davvero col cazzo … quanto a capolavori la Parrella è ancora vergine.
Interessante, perché ovviamente il centro di tutto sono il desiderio e l’eccitazione del maschio.
Anche nelle gloriosa nazione del Kazakistan, terra di origine di Borat e di sua figlia, Tutar, le bambine ricevono un manuale colmo di regole e bugie. Con quel manuale in forma di fiaba la cui protagonista è il modello da non seguire, si educa la brava donna del patriarcato, bella comoda in una gabbia posizionata ai margini, privata di tutto e grata di ciò che ha – sempre ricevuto e mai conquistato – cresciuta con il terrore del proprio corpo, perché restasse nell’ignoranza, perché lei per prima rifuggisse la curiosità e il dubbio che quello che le hanno insegnato siano fandonie per rafforzare il controllo. Tutto è tabù nella gloriosa nazione del Kazakistan tranne le mestruazioni!
Il film Borat, spingendo lo spettatore a risate scomode, riflette sul potere. E è una donna, dopo un viaggio interiore faticoso e coraggioso di conoscenza e consapevolezza di sé e del proprio corpo, nella costruzione della propria vita in cui spicca il legame affettivo sano con il padre, a scardinare l’ordine gerarchico precostituito e diffusamente accettato. Tutar mette in ridicolo i potenti e la società occidentale puntando l’obiettivo sulle storture della società americana. In Italia, figlia dei cinepanettoni, le risate hanno invece finito per seppellire l’indignazione sdoganando in farsa le aberrazioni peggiori, influenzando persino il nostro atteggiamento immediato rispetto agli abusi sulle donne. Se per anni sei abituato a ridere a battute sul fatto che le donne sono tutte puttane se ti lasciano o se vivono libere la loro sessualità e che allora è meglio sceglierle giovani (e minorenni) poi è difficile indignarsi e condannare le violenze.
Immaginate se gli uomini fossero disgustati dallo stupro come lo sono dalle mestruazioni
Charlie (tweet, 2014) e poi Elonë (installazione, 2015)
Già, le mestruazioni. Il titolo Le cosine delle femmine e dovremmo aggiungere “ovvero la difficoltà di dirlo” è la didascalia di una storia di Instagram di Giulia De Lellis, che al buongiorno del video aggiungeva: “Oggi Ko… ho le cosine delle femmine”. Credo che non ci soffermiamo mai abbastanza sull’importanza delle parole e su cosa ci può dire la difficoltà di parlare apertamente di certi temi. Ci inventiamo eufemismi invece di chiederci perché crei tanti problemi pronunciare la parola mestruazioni. “Forse l’unica cosa per cui abbiamo una tendenza al camuffamento eufemistico paragonabile a quella del sesso è la morte”, ricorda Edoardo Lombardi Vallauri nel suo Ancora bigotti (Einaudi).
Oppure dagli eufemismi passiamo all’opposto, nel perfetto modello dualistico degli estremi. Lasciamo Giulia De Lellis e entriamo nel mondo di un’altra influencer attraverso un post rilanciato e commentato universalmente. Leandra Madine Cohen ha postato una foto in cui indossa una gonna bianca macchiata di sangue, per ricordare che proprio o anche in quella macchia, “senza sarcasmo”, può risiedere l’orgoglio di essere donna. In molti hanno criticato anche duramente questa fotografia e condannato Leandra Madine Cohen per avere esibito qualcosa che va tenuto nascosto, che è intimo, che fa schifo. Leandra Madine Cohen ha esibito. Ai tabù si può reagire indagando ciò che li causa o esibendo ciò che li suscita. Oltre a suggerire la conoscenza, non credo che sia compito nostro dire quale sia il modo giusto di reagire, giusto in assoluto. Però possiamo riflettere.
La prima scena che mi ha convita a usare Borat come spunto e riferimento per l’incontro di M’ama non M’ama è proprio la Danza della fertilità, in cui Borat e Tutar ammessi al ballo delle debuttanti mostrano con orgoglio ciò che non riusciamo nemmeno a pronunciare: il sangue mestruale. Al ballo, tra chi assiste c’è chi si scandalizza, chi è imbarazzato o incredulo, chi addirittura ha la nausea e conati di vomito. Come biasimarli, nella quotidianità anche la vista di un assorbente pulito è uno scandalo. E per le pubblicità degli assorbenti siamo tutte nobili, abbiamo tutte il sangue blu. Mentre – sempre per confermare l’approccio dicotomico – per le pubblicità che osano il rosso e la verosimiglianza ci sono denunce e perfino censura. Di nuovo non giudico né entro nel merito dello sfruttamento del disturbante per vendere di più o del diritto di sentirsi infastidit* ma il pudore è ben diverso dalla vergogna che mina le sicurezze e l’autostima, innesca la paura dell’esclusione.
Nel 2016 la musicista Kiran Gandhi, che ha corso la maratona di Londra il primo giorno di mestruazioni scegliendo di non indossare l’assorbente e arrivando al traguardo con oltre quaranta chilometri sulle gambe e una macchia (bollata come “inelegante”) ben visibile sulla tuta, ha scritto che la stigmatizzazione delle mestruazioni sta proprio nell’omertà
È sentire il bisogno di scusarsi quando si parla di mestruazioni. È chiedere sottovoce a un’amica un assorbente … È mantenere il silenzio sui crampi intensi … Non potere parlare del proprio corpo è la forma di oppressione più efficace.
da Questo è il mio sangue, di ÉliseThiébaut (Einaudi - traduzione di Margherita Botto)
Una delle frasi sul tema mestruazioni che piace di più ancora oggi anche se è degli anni Ottanta, e da cui si evince che il problema sono, di nuovo, le donne, l’ha scritta Gloria Steinem. Se le avessero gli uomini…
le mestruazioni diventerebbero un evento maschile invidiabile e motivo di orgoglio. Gli uomini si vanterebbero della loro durata e del loro flusso. I ragazzi celebrerebbero l’arrivo del ciclo, simbolo tanto atteso di virilità, con cerimonie religiose e feste rigorosamente maschili. Il Congresso creerebbe un Istituto nazionale della dismenorrea per combattere i dolori mensili e il governo stanzierebbe finanziamenti per distribuire assorbenti gratuitamente.
Invece in Italia l’IVA applicata sugli assorbenti è ancora del 22% come per i beni di lusso. Per esempio i rasoi da barba, quindi quelli maschili, hanno l’IVA al 5%. Nel 2019 con emendamento l’Iva al 5% è stata abbassata solo per assorbenti biodegradabili e lavabili o per le coppette riutilizzabili. A dicembre 2020 è stato fatto un nuovo tentativo per allargare l’abbassamento dell’imposta con emendamento alla legge di bilancio presentato da Laura Boldrini e sostenuto da quasi 500mila donne e uomini che hanno firmato la petizione “Il ciclo non è un lusso” di Onde Rosa e WeWorld, facendo riferimento alla tampon tax e alla parificazione anche nel parlamento europeo degli assorbenti a beni di lusso. Intanto però in Belgio e Olanda hanno ridotto l’aliquota; Canada, Irlanda, Regno Unito e India l’hanno abolita. In Scozia, primo paese al mondo, vengono forniti gratuitamente gli assorbenti nelle scuole, nei college, nelle università e persino in alcuni ristoranti, pub e club di calcio; da giugno in nuova Zelanda dove premier è Jacinta Ardern saranno gratuiti nelle scuole, lo stesso, è notizia recentissima, accadrà in Francia. Mentre in Svezia, un’azienda di prodotti sanitari femminili ha chiesto alla Pantone – autorità mondiale in termini di colore, nella grafica e nella produzione stessa di colori hanno lanciato il rosso Period, collaborando con un ginecologo:
Non stiamo solo dipingendo muri, stiamo abbattendo quelli (i muri) che contribuiscono alla stigmatizzazione che riguardano le mestruazioni.
Tutto questo lascia pensare che, sebbene nella lentezza delle rivoluzioni culturali pacifiche, ossimoro che risiede nella realtà dei fatti prima che nelle parole, qualcosa può cambiare. Il tema dei tabù e degli stereotipi legati al corpo delle donne – complemento di specificazione ma anche di proprietà – è oggetto di studio “eterno” e multidisciplinare che ovviamente non potevamo esaurire. E questa consapevolezza ci porta a ribadire che la nostra chiacchierata è un inizio e che sarà inevitabile continuare il dialogo interrogando l’antropologia, i miti, la filosofia, i nostri riferimenti culturali oltre che sociali. Da questa consapevolezza è nata al scelta di fornire una bibliografia minima e link – disponibili qui. E spero che questa prospettiva, di continuare ancora a parlarne, sia percepita come una bella promessa e non una minaccia. Anche perché in media una donna ha le mestruazioni per 2535 giorni, sette anni, un periodo troppo lungo per non impegnarci a renderlo migliore, e magari migliorerà anche il mondo in cui viviamo.