Strade che non portano… alla salvezza

IMG_20180911_173913Dall'incontro "Città altre" - Urbino e le Città del Libro 2018
Ospiti Giuliano Pesce, autore de L'inferno è vuoto (Marcos y Marcos); Andrea Esposito, autore di Voragine (il Saggiatore); Marco Rossari, autore de Nel cuore della notte (Einaudi).

L’inferno è vuoto, un giovane di buone speranze si ritrova catapultato in una Roma violenta in cui si danno appuntamento tutti i diavoli e in cui l’unico santo, papa Goffredo, ha deciso di lanciarsi dalla finestra su piazza San Pietro. Voragine, un romanzo che si fa poema in prosa che si compie in tre atti di cammino, solitudine, testimonianza… Nel cuore della notte: una vita adulta al suo inizio  si osserva riflessa nello specchio distorto  di una vita distrutta, di uno sconosciuto che va lontano a disperdere i propri pezzi, frantumi immersi nell’alcol e in un torrente di parole.
Tre opere molto diverse eppure unite, tanto da poterne parlare coralmente. E il motivo è lo stesso per cui non pochi anni fa scelsi di unire, nella mia tesina per l’esame di maturità, Camus-Montale-Eliot. Allora (la domanda fu del membro esterno della commissione) dovetti spiegare il perché della triade. “Tutti e tre mettono al centro l’uomo”, risposi. “Non lo fanno tutti i poeti, gli scrittori?” “No, lo fa la letteratura”, precisai. Perché la letteratura quando si fa coltello – e è anche questa la sua forza nonché la potenza di questi tre romanzi – ci costringe a un viaggio: nel profondo del dolore, nel cuore dello strazio dell’anima, nell’inferno dei corpi, del Male e nella voragine della nostra società (di noi stessi?).

La chiave di questo viaggio è il racconto. Strumento del racconto sono le parole che tentano di indagare, capire, testimoniare la “realtà”, pronunciabile solo tra virgolette (citando Nabokov) in una verità che non si lascia afferrare.

 

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In principio fu il buio.
E in quel buio io stavo sdraiato ad ascoltare le parole. Pensavo alla mia vita, ritornavo a quello che era successo, speravo di trovare la pace.

Tutto quello che volevo era dormire.

Il raccontare – “che svanisce nella fantasia della memoria, nell’illusione del ricordo” – nel romanzo di Marco Rossari inizia in un paese lontano in cui i turisti borghesi vanno per non sentirsi tali (ritrovandosi poi a ridefinire se stessi in base al proprio mestiere, beffardo contrappasso). Da una corriera che viaggia di notte in mezzo al nulla in una strada diretta a un vulcano, alla fine di tutto, la voce dello sconosciuto ci strattona in una casa buia, vuota, desolata e per la prima volta ci misuriamo con un’evidenza: il dolore è sempre un altrove. E allora per fissarlo, concretizzarlo è necessario dargli corpo: “Se non parliamo di corpo non parliamo di niente” (p. 44), “La letteratura della carne è poesia” (p. 86). E Nel cuore della notte offre al lettore, con sapienza, l’amore, il dolore, il sesso puntando contro l’animo umano fino a scavarlo nel profondo il faro del perturbante e dell’esaltante – che può fare paura per come riesce a mostrare, trovare “una sintonia con la folla” (perché oggi più che mai anche ciò che anima e spaventa un popolo è materia scottante).

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Restavo un pornografo grottesco. Ma quale scrittore non è un pornografo? Quale scrittore non mette sulla pagina ciò che è osceno, ciò che è fuori, ciò che è parte dell’animo umano?

 

In Voragine, conosciamo la realtà attraverso Giovanni, ne abitiamo e percorriamo gli spazi in lui e con lui, che la vive guardando e vedendo, ascoltando spiegazioni e racconti e camminando, poi raccontando  a sua volta anche a chi non c’è.
Ci vengono mostrati luoghi al di fuori, al di là, in una periferia desolata, delimitata dai campi, dalla ferrovia, e poi da tunnel e ponti… il limes assediato, il confine  con il mondo “di prima”. Una casa, un piccolo rifugio in un’ansa, sulla strada a terra tra le auto, sotto una tenda mentre tutto il mondo fuori cambia. Una città, le sue strade, le sue piazze e i negozi, il fiume che la attraversa da risalire. Giovanni cerca solo un luogo dove stare, mentre una voragine inghiotte. Perfino la ragione degli uomini, la civiltà.

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E dopo quei giorni altri giorni. … Prima una periferia e poi un’altra e poi un’altra e poi il centro. Chi poteva svuotava gli ultimi scaffali dei supermercati. E i televisori erano morti. E le ultime notizie raccontavano che nelle altre città succedevano le stesse cose. Ed erano bollettini sempre più simili e sempre più monotoni. Tanto che per qualcuno la fine delle informazioni è stata un sollievo.

I corpi e il perturbante dominano il romanzo di Esposito. Anzi uomini e donne perdono la loro condizione (dimensione?) umana e restano corpi da dilaniare, martoriare, punire, usare. Cadaveri abbandonati o amici, fratelli, mogli e mariti che scompaiono. Il perturbante si fa mondo tout court, in paesaggi post apocalittici senza apocalisse, in una discesa nella voragine lenta, progressiva, incomprensibile, inesorabile. Con un incedere in cui si trasfigura il mondo e a cui si adatta la scrittura: frasi e eventi procedono affiancati; frasi accanto alle frasi, eventi accanto a eventi di un poi che è ritmo e di un ritmo da poema distopico in prosa.

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E raccontano di questi corpi che riprendono il sopravvento. Racconta di corpi che cadono su altri corpi. Racconta di corpi usciti dal niente che trascinano nel niente altri corpi. E il cadavere dei corpi nel niente del tempo. E i corpi che diventano niente. Racconta di vendette prive di odio. Racconta di unghie e denti bianchi pronti a spezzarsi negli urti e sanguinare. Racconta di una ferocia che è organismo e linguaggio. Corpi che salgono e sgusciano. Li annuncia questo canto indecifrabile che ha il suono di un millennio che si dissolve mentre cade nel tempo e il suono di una stella he tradisce e il suono di un’acqua buia e il suono di una distanza che si colma di oblio.

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Il tono della lettura e il passo è differente ne L’inferno è vuoto di Giuliano Pesce, ma non l’imperscrutabile del reale. Il mondo è quello che conosciamo, siamo in Italia, oggi, siamo a Roma… e invece no: non può essere la Roma che conosciamo perché qui il papa fa il volo dell’angelo all’Angelus; qui non sai se hai di fronte un demone o un angelo neppure quando ti perdi in “occhi a cui dedicare la vita intera”, occhi verde smeraldo, capelli rossi e un neo… piccola imperfezione alla Marylin per una Beatrice al contrario che appare e scompare nella vita del giovane Fabio Acerbi, aspirante scrittore che lavora nell’Ufficio vedove della più grande casa editrice italiana e che viene inviato nella Città eterna per scrivere il “libro che sveli i motivi che hanno spinto il papa al suicidio”, un incarico che puzza tanto di fregatura, “ma il Boss è sempre il Boss” e è già pronto il “biglietto di sola andata per Roma”. Una Roma demoniaca in cui qualsiasi strada imbocchi è quella sbagliata, dove comanda il Cobra, che ha scoperto un business più redditizio della droga; Willy Carnaroli (lo zio Willy, il presentatore dei quiz per famiglie) è un cocainomane perso con la passione per le ninfette; Bara e Beccamorto, due killer spietati risolvi situazioni disperate, sono esilarante modello di amicizia.

 

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Beccamorto era il suo unico amico.
Merda.
Solo dio sa quant’è difficile trovare qualcuno di cui ci si possa fidare. Qualcuno che ti guardi le spalle anziché cercare di fotterti alla prima occasione.

“L’amicizia è la più gratuita forma d’amore. Deriva in modo naturale dalla solidarietà empatica che si instaura tra due persone.”
Gliel’ha insegnato Beccamorto; come tutto il resto d’altronde.

Il perturbante non manca nel romanzo di Pesce, che costruisce sapientemente la sua narrazione con incastri da rima alternata. Un romanzo che leggi divertendoti a schivare schizzi di sangue e in cui le trovate reggono tutte, la trama incredibile è totalmente accettabile nell’inverosimile. Il sapore è alla Quentin Tarantino, ma il genio è tutto italiano e la vita di ogni personaggio è una Storia che potrebbe meritare un’opera a sé. Ne L’inferno è vuoto ingannevole è la realtà/apparenza o perlomeno ha più facce – come la follia. D’altronde “gli uomini credono più facilmente che sia vero ciò che preferiscono che lo sia” (Io e Henry, Giuliano Pesce – Marcos y Marcos, 2016) e, come scrisse Montale negli anni Sessanta: “Tutto fa pensare che l’uomo d’oggi sia più che mai estraneo vivente tra estranei, e che l’apparente comunicazione della vita odierna, una comunicazione che non ha precedenti avvenga non tra uomini veri ma tra i loro duplicati” (Auto da fé, Mondadori).

Strade che non portano... alla salvezza, tre romanzi da leggere:

Rossari copMarco Rossari, Nel cuore della notte - Einaudi, 2018.

voragine-1-350x485Andrea Esposito, Voragine - il Saggiatore, 2018.

linferno-e-vuotoGiuliano Pesce, L'inferno è vuoto - Marcos y Marcos, 2018.