L’inseguitore (Cortázar & Muñoz, SUR, 2016) è un racconto di tante voci. Julio Cortázar dà voce a Charlie Parker, musica e grandezza sottendono ogni parola dell’alter ego Johnny Carter, impegnato in una corsa – inesorabile – verso il precipizio. Johnny è raccontato dall’amico Bruno (critico di jazz, giornalista e autore della sua biografia): il narratore è la spalla in un monologo con più personaggi in scena (dilatando un palcoscenico come il metrò sa rendere elastico il tempo – ossessione di Johnny). Le tavole di José Muñoz non hanno bisogno di essere didascaliche per arricchire la lettura, con dignità di opera autonoma e senza virtuosismi guadagnano spazio. Poi c’è la Parigi degli anni Cinquanta, la città sussurra in continuazione in sottofondo – nella notte soprattutto, nel buio. Per chi avesse assistito al magistrale reading di Vinicio Marchioni, è suo il tono che risuona in testa parola dopo parola, in una lettura seguita a occhi chiusi.
Tutte queste voci, nel rischio della dissonanza, fanno come nel jazz: l’armonia viene dall’insieme, dal guizzo di uno e dagli altri che inseguono e poi si fermano, vanno avanti, disegnano fioriture che restano sospese. La narrazione così può essere sapiente, colloquiale, mossa e insieme precisa nel suo flusso. Bruno è lo strumento che suona da dio tra le mani di Cortázar.
Nessuno può sapere cos’è che insegue Johnny, ma è così, è là, in “Amorous”, nella marijuana, nei suoi discorsi assurdi su tante cose, nelle ricadute, nel libro di Dylan Thomas, in tutto quel povero diavolo che è Johnny e che lo rende grande e lo trasforma in un assurdo vivente, in un cacciatore senza braccia e senza gambe, in una lepre che corre dietro a una tigre che dorme.
Cortázar va letto, ha ragione Pablo Neruda. Goderselo (come in questo caso) nella traduzione di Ilide Carmignani e nell’edizione di SUR (che ha prodotto un gran bell’oggetto) è un piacere. A cominciare dal titolo.
L’inseguitore, Cortázar & Muñoz,
traduzione di Ilide Carmignani, SUR – marzo 2016
Ho assistito al magistrale reading di Vinicio Marchioni e il suo tono, le sue parole risuonano ancora nella mia testa… magia… da non perdere!
A Urbino e le città del libro 2016, Marchioni fu spettacolare. Il Teatro Sanzio si era trasformato nella Parigi degli anni ’50, l’unica voce in scena era musica, farneticazioni, dolore, genio, grandezza. Compimento di un’opera.