Devo solo riuscire a pensare qualcosa di bello. Per esempio la solitudine.
Se cercate un (per me “il”) romanzo sul senso della vita e sulle relazioni, con Solo una canzone secondo libro di Roberto Livi (Marcos y Marcos, 2021) – fidatevi – l’avete trovato.
Se qualcuno ci guardasse dall’esterno e ci vedesse litigare, o ci vedesse mangiare col muso come due estranei, potrebbe pensare che io e l’Ave adesso siamo una coppia in crisi. Ma non è mica vero. È sempre stato così, sempre, già dal primo mese. Io ci provo con lei quando sono sicuro che lei mi dirà di no, e lei si lamenta del fatto che io non ci provo quando sa benissimo che sono stanco e non ci proverò. Credo che sia il nostro modo di volerci bene. Un tempo mi sentivo in colpa perché desideravo tutte le donne tranne l’Ave. Poi tre anni fa mi è capitato una specie di miracolo. Sono tre anni che non desidero nessuna donna.
Non mentirò: per me Roberto Livi è un genio. Sovverte tutte le regole. Con lui l’ovvio diventa rivelazione, il flusso di coscienza e le conversazioni a senso unico illuminanti epifanie.
Ma come ha fatto quel coglione di Manilow a scrivere una canzone così bella? Perché lui sì e io no? Forse è solo questione di impegno. Ecco, il giorno che mi metterò d’impegno a scrivere una melodia come quella, con delle parole come quelle, allora sarò un uomo contento. … E anche se continuassi a fare il cameriere, sarei comunque contento. E forse anche l’Ave sarebbe contenta di me.
Non c’entrano Candido, Zeno, il bon sauvage, non valgono i canoni, nemmeno le commistioni alto-basso del postmoderno. In Solo una canzone c’è la verità, quella di chi ti indica una direzione, ti fa concentrare su un punto, una piega e tu in un preciso momento ti rendi conto che in quella direzione, quel punto, quella piega sei tu. Che fino al secondo prima ridevi, e continui ancora perché non puoi farne a meno.
Solo una canzone è un romanzo da leggere, non è contemplata alternativa. Senza considerare tutto quello che avete letto fin qui, intendendo le mie parole e in generale, c’è una storia, a suo modo (in-)compiuta; i personaggi hanno spessore e sfumature, l’Ade è un corso di scrittura vivente per come prende forma dalla pagina, e il maestro di musica con le sue teorie? nelle sue lezioni c’è spazio pure per la teologia e il modernismo, ma poi il padre, Sergio, la Gianna, Quercia, Agnese, Bri…; i dialoghi (concretizzazione dell’incomunicabilità contemporanea) sono monologhi o mascheramento di chi parla e di chi ascolta – la voglia di rivalsa e la ripicca non si addicono granché al confronto verbale.
Povera Ave, a lei è toccata la parte della persona normale, con i suoi interessi e le sue necessità. A me è toccata la parte del tipo strano che dice sempre di no. Eppure lo so benissimo che Ave soffre più di me a viaggiare. … Ma quest’anno insiste. Lo fa per provocarmi. Allora a un certo punto mi stufo della mia parte e all’improvviso dico: “Sì, va bene, partiamo”.
Roberto Livi è un genio, sì. E quando arriverete alla zeta di zulu mi darete ragione.
Ma poi, com’è che si chiama il protagonista di questo romanzo? Di lui sappiamo che ha ereditato dai suoi il ristorante La luna nel pozzo, dal padre l’amore per la musica e che nella vita gli basterebbe scrivere una canzone, anche una canzone sola ma che faccia venire “i brividi, cioè le carni cappone come si dice a Pesaro”.
