
Donne che parlano è un romanzo scritto con le parole dell’amore, del rispetto, del perdono come possibilità e opportunità, della consapevolezza. È un risveglio intorpidito da ossa rotte e ferite inferte, un aprire gli occhi graduale che poi accende un faro accecante sul mondo come è sempre stato e non sara più.
Donne che parlano – grazie alla ferma delicatezza dello sguardo di Miriam Toews – è un romanzo d’Amore, un sentimento tanto alto che esplode nei piccoli grandi gesti quotidiani, che si lascia disseminare nelle pagine come granelli che si fanno montagna, una volta arrivati all’ultima pagina. Amore che però non ha mai nulla a che fare con la violenza, neppure e tanto meno quando è troppo. Il “troppo amore” non esiste in assoluto (è altro: bisogno, vuoto che inghiotte ragione e sentimento, è ferite del passato che si perpetuano nel presente…) e non è accettabile come categoria, per giustificare gesti colpevoli e aberranti o per evitare analisi vere, sincere, fuggite perché possono mettere in crisi la nostra realtà come la conosciamo. Le protagoniste di Donne che parlano vincono questa paura: iniziano a parlare tra loro, lottano contro il terrore, si pongono domande, si confrontano. In un momento terrificante, in una società ai nostri occhi altrettanto estrema – una comunità mennonita, patriarcale, rigidamente religiosa, retta sull’obbedienza e la sottomissione femminile – accettano la responsabilità di essere fautrici del proprio destino. Se ne fanno carico tutte assieme, applicando la regola su cui si reggono le società più evolute: la democrazia.
Un episodio di cronaca nera è la scintilla cupa di Donne che parlano, romanzo luminoso: dal 2005, per quattro anni, le donne della comunità di Molotsch in Bolivia vengono violentate dai “loro” uomini e ragazzi (sono fratelli, zii, cugini). Accade tutto di notte, nel buio che lascia sul corpo delle donne segni inspiegabili al risveglio. Meglio, a chi cercava di capire il pastore e gli uomini rispondevano che era volere di Dio (perché fossero mondati i loro peccati) o opera di Satana e dei suoi demoni; magari alcune avevano escogitato queste storie per coprire l’adulterio o per il semplice gusto di dare sfogo alla “sfrenata immaginazione” femminile. I fatti dicono ben altro: venivano sedate con un anestetico veterinario spray e, nell’incoscienza, abusate. La condanna dei responsabili, nel 2011, non mise fine a una simile barbarie, ma il loro arresto nel 2009 poté cambiare qualcosa di non trascurabile, ripristinò verità e dignità.
La parte immaginata, il romanzo di coraggio (violento solo in ciò che evoca) scritto da Miriam Toews e tradotto in italiano da Maurizia Balmelli, è il verbale di quarantotto ore di parole, scontri, canti e risa, di ipotesi su come reagire alla violenza. È redatto da un uomo – ma ai margini della società e anche lui a un bivio della vita – visto che loro non sanno né leggere né scrivere e parlano solo plautdietsch (basso tedesco). In un granaio, che le ospita per due giorni, di nascosto dagli uomini (alcuni in galera, altri in città per pagare la cauzione, ma tutti pronti a tornare presto), smetteranno di essere vittime. Sono d’accordo di restare unite, sebbene così diverse nei modi, nel carattere e nelle idee: sceglieranno assieme se perdonare e rimanere, se andarsene, se rimanere e combattere.
Più aumentano le pagine girate e più cresce la voglia di sapere; si vorrebbe correre, conoscere già i pro e i contro che verranno elencati, la posizione provocatoria di Salomè e la sua aggressività (“polemica e ribelle eppure solerte nell’applicare le regole”), le cavalle di Greta, lo sguardo e la schiettezza di Ona la zitella… Ma ciò che conta davvero è che quell’inedita comunità femminile tanto variegata e così viva sceglierà. Le donne dei Loewen e le donne dei Friesen decideranno.
L’unica certezza che avremo è l’incertezza, dice [Salomè], a prescindere da dove siamo.
Chiosa Ona: A parte la certezza della forza dell’amore.
Salomè si volta e la guarda dritto in faccia. Certe scemenze tientele per te, la scongiura.
Mejal prende le difese di Ona. E perché non potrebbe essere, che l’unica certezza è la forza dell’amore? chiede.
Perché non ha senso! grida Salomè.
Agata rimbrotta aspramente le figlie. Dopodiché sposta l’attenzione sulle più giovani. Autje? Neitje?
Quando ripenso a Donne che parlano, mi immagino proprio loro ormai anziane, e magari nonne, mentre con un sorriso tornano a un giorno lontano e con i toni della fiaba raccontano alle nipotine quelle ore in cui tutto è cambiato. Vedo le bimbe distrarsi e ridere, confondersi i capelli in una treccia sola.